E questo complicherebbe la strada per trovare una maggioranza, che dovrebbe coinvolgere un bel pezzo del centrodestra
Il Movimento 5 Stelle ha detto di non voler votare la fiducia a un governo tecnico guidato dall’economista Mario Draghi, convocato per mercoledì al Quirinale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo che le trattative tra la vecchia maggioranza per formare un governo non politico non avevano portato a un risultato. Il M5S è il primo partito in Parlamento, con 190 deputati e oltre 90 senatori, e senza i suoi voti l’unica maggioranza possibile mette insieme il Partito Democratico, Liberi e Uguali, tutto il centro e anche un pezzo sostanzioso del centrodestra e della destra, quindi Forza Italia e almeno parte della Lega.
Dopo l’annuncio di Mattarella sul fallimento del mandato esplorativo del presidente della Camera Roberto Fico, in cui aveva spiegato che le uniche due strade sono un governo non politico (quindi tecnico o istituzionale) o le elezioni anticipate, esprimendosi decisamente in favore della prima visto il delicato momento che sta vivendo l’Italia, il Quirinale ha fatto sapere di aver convocato Draghi. Ma in serata Vito Crimi, attuale capo politico del M5S, ha scritto su Facebook: «Il MoVimento 5 Stelle, già durante le consultazioni, aveva rappresentato che l’unico governo possibile sarebbe stato un governo politico. Pertanto non voterà per la nascita di un governo tecnico presieduto da Mario Draghi».
La posizione di Crimi sembra categorica e inequivocabile, anche se nelle scorse settimane lui e il suo partito hanno ritrattato dichiarazioni piuttosto nette, come l’indisponibilità a nuove trattative con Matteo Renzi e Italia Viva, che poi sono avvenute. Riccardo Fraccaro, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, ha detto una cosa simile a quella di Crimi: «Noi siamo sempre stati chiari con gli italiani dicendo apertamente che il M5S avrebbe sostenuto solo un esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Su questo, con coerenza, andremo fino in fondo».
Il segretario del PD Nicola Zingaretti ha detto invece che il suo partito è pronto «al confronto per garantire l’affermazione del bene comune del paese», lasciando intendere di voler sostenere un eventuale governo Draghi.
Non si sa ancora invece cosa voglia fare Forza Italia, che però nei giorni scorsi era sembrata disponibile a parlare di un governo tecnico o istituzionale sostenuto dalla cosiddetta “maggioranza Ursula”, di centrosinistra e centrodestra. Il leader della Lega Matteo Salvini invece ha detto al Corriere che «il problema non è il nome della persona», aprendo alla possibilità di sostenere un governo tecnico con l’obiettivo di approvare alcune misure e portare al voto anticipato «a maggio o a giugno».
Salvini ha parlato in particolare di non aumentare le tasse, e ieri aveva citato anche l’apertura dei cantieri e la sostituzione di Domenico Arcuri come commissario straordinario per il coronavirus. Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, l’altro grande partito di destra, per ora sembra continuare a preferire le elezioni anticipate.
Un’eventuale nomina di Draghi, stanno osservando gli esperti, potrebbe dividere diversi partiti: per primo il M5S, tra chi è contrario a un governo tecnico e chi invece è disposto a sostenerlo, per responsabilità o per non andare a votare. Ma potrebbe anche creare divisioni nel centrodestra: tra Forza Italia da una parte e Lega e Fratelli d’Italia dall’altra, se la prima insisterà per votare la fiducia e Salvini e Meloni decideranno di no. Ma anche all’interno della stessa Lega, in cui esiste una parte più moderata – quella dell’ex sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, ad esempio – che potrebbe voler sostenere il governo tecnico, a differenza dell’ala più radicale. Oppure, ancora, tra Lega e Fratelli d’Italia, se Salvini volesse votare la fiducia e Meloni no.
La questione adesso sarà capire se il M5S è compatto nell’opposizione all’eventuale governo tecnico. In quel caso, l’unica possibilità sarebbe che a sostenerlo fossero il PD e almeno un pezzo del centrodestra e della destra.
Il Post
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